Genitori e prima infanzia: una complessa crescita - Seconda serata del Ciclo 'Genitori si nasce o si diventa?'

Illustrazione di Anna Silivonchik

 

Mercoledì 4 novembre si è tenuto il secondo seminario del Ciclo 'Genitori si nasce o si diventa?'

 

Il titolo di questo seminario, 'Genitori e prima infanzia una complessa crescita' affrontato dalla nostra relatrice Giovanna Maria Mazzoncini, può apparire come il più scontato e il più conosciuto degli argomenti, eppure, per chi lavora da tanti anni con genitori e bambini si presenta sempre nuovo e bisognoso di continue riflessioni. Questo sia perché con lo scorrere degli anni cambia la società, cambiano costumi, abitudini e di conseguenza, come vediamo ogni giorno, anche la strutturazione dei nuclei familiari; sia perché, fin da tempi antichissimi, invece, non cambiano i bisogni dei bambini e, se pure in forme differenti, nemmeno le funzioni che i genitori sono chiamati a svolgere per aiutarli in una crescita sana.

 

La funzione di una madre e di una figura paterna come supporto alle difficoltà da affrontare compaiono fin dai tempi dei Sumeri, 4500 anni fa, come si legge nell’Epopea di Gilgamesh. Mi permetto di leggerne pochi versi che mi paiono molto attuali:

Gilgamesh aprì la bocca e disse,

così parlò ad Enkidu (figura paterna)

<Vieni amico mio, andiamo…

Da Ninsun, la grande regina (è la madre di Gilgamesh)

Ninsun è saggia, conosce ogni cosa, essa comprende tutto,

essa guiderà, con il suo buon consiglio, i nostri passi>

Essi si presero per mano…

 

Per secoli, sappiamo bene, la possibilità di sviluppare i comportamenti e le capacità di essere individui adulti adeguati è stata considerata essenzialmente frutto di una “corretta” educazione e il dibattito fra innatismo e ambientalismo ha visto scienziati, filosofi, psicologi e politici impegnati in controversie infinite. 

 

In realtà fino alla fine dell’ottocento l’interesse per lo sviluppo infantile era scarso e gli studi in merito non particolarmente approfonditi. Non è certo mia intenzione qui ripercorrere tutta la storia delle teorie dello sviluppo, non è questa la sede né ci sarebbe il tempo, ma desidero solamente offrire un breve quadro nel quale possa trovare il suo posto quanto è stato esposto da Giovanna Maria Mazzoncini durante il seminario. 

 

Con la nascita della psicoanalisi e l’esperienza del lavoro psicoanalitico sulle evidenze dei racconti della vita dei pazienti si è iniziato a capire come il funzionamento degli individui adulti ha delle radici nella adolescenza e nella prima infanzia. Ma l’interesse del mondo psicoanalitico per le fasi di sviluppo era legato principalmente al lavoro clinico con adulti e alla ricerca delle cause delle varie patologie che venivano inferite dai racconti dei pazienti.

Freud con la pubblicazione del Piccolo Hans nel 1908 mette per la prima volta al centro dell’attenzione il mondo emotivo infantile, anche se con lo scopo di mostrare la validità del metodo psicoanalitico e sottolineando che si tratta di un intervento eccezionale legato al fatto che l’analista del bambino era il padre.

Melanie Klein, invece, pioniera nel campo della psicoanalisi infantile fa del bambino e della comprensione del suo funzionamento dal punto di vista dell’evoluzione emotiva e psichica, il centro di tutta la sua teoria delle relazioni oggettuali sottolineando come il punto centrale dello sviluppo fosse proprio l’aspetto legato alla relazione e non al soddisfacimento dei bisogni.

Contemporaneamente con Anna Freud, Kohut e numerosi altri studiosi si sviluppano anche molte altre teorie, indagini e ricerche sulle prime fasi della vita del bambino, sulle capacità di un neonato alla nascita, sulla formazione dell’Io, del Sé, sui rapporti e i legami che si formano, sul loro significato.

Possiamo dire che tutto il 900 è percorso da un forte interesse per la comprensione di come l’individuo arriva ad essere l’adulto capace di pensieri, affetti, creatività.

Rivoluzionario è il discorso di Bowlby, uno psicoanalista che dal 1946 svolge la sua opera presso la Tavistock Clinic che si distacca però da quelli che, in quei primi tempi di diffusione della psicoanalisi, erano ritenuti dogmi quasi sacri. Egli pone al centro dell’attenzione del mondo scientifico il concetto di “attaccamento” mutuato dall’etologia, i cui termini, oggi, alla luce delle numerose ricerche eseguite in diverse parti del mondo nella seconda metà del secolo scorso, sono stati abbastanza modificati.

Il clima scientifico di quegli anni vedeva in realtà una divisione abbastanza marcata fra gli studiosi inglesi (Melanie Klein, E. Bick, ecc.) per i quali il rapporto oggettuale nasceva all’interno della rielaborazione del vissuto fantasmatico del lattante/bambino e invece altri studiosi europei (Spitz, Yosselin, ecc. ) e americani (Kris, Hartmann, Lowenstein, scuola genetica) che pur ponendo l’accento sul rapporto madre/bambino lo collegavano maggiormente all’aspetto genetico e parlavano di investimento istintuale  e maturazione degli apparati percettivo/motori e mnestici. 

Molto spazio veniva  ancora dato all’istinto e le scoperte delle neuroscienze erano lontane. La biologia a quell’epoca era una scienza che non si occupava degli aspetti psicologici, le ricerche non mettevano ancora in rapporto le variazioni chimiche del corpo con le emozioni. Qualche studioso, per es. Trevarthen aveva delle intuizioni ma eravamo lontani dalle certezze di oggi.   I due mondi in quel momento erano del tutto separati.

Mutuato dal mondo dell’etologia, si diffonde sempre maggiormente un interesse per l’osservazione diretta del bambino e Spitz stesso, uno dei primi studiosi dei lattanti che pone l’accento sul rapporto madre/bambino, per lui modello originario di ogni relazione interpersonale e interumana, quindi anche dei rapporti sociali ne fa un importante elemento delle sue indagini. 

Sulla linea della Scuola genetica egli sottolineava maggiormente i limiti imposti a questo rapporto dalla maturazione biologica e neurologica e l’aspetto strutturante dell’oggetto reale e la sua attenzione si rivolgeva soprattutto alla nascita dell’Io e della sua struttura, ma, provenendo dal mondo psicoanalitco (Spitz era stato allievo di Freud) in quel momento ancora sotto attacco aveva innanzitutto la preoccupazione di dare a questa materia una garanzia di obiettività scientifica che pensava di ottenere attraverso dei filmati.

Esther Bick, più o meno negli stessi anni diffonde attraverso un articolo l'esistenza di un particolare metodo per la osservazione infantile, progettato però “più che come strumento di ricerca” in psicologia, come complemento per la formazione degli psicoterapeuti infantili e degli psicoanalisti.

Anche Bick proponeva l’osservazione dei neonati e dei lattanti nel loro rapporto con la madre con l’obiettivo di imparare a comprendere l’evolvere di questo rapporto, i comportamenti non verbali, il significato emotivo del gioco o dell’incapacità di giocare. La specificità di questo tipo di osservazione era non solo di proporre una osservazione continua e prolungata in modo che si disponesse di decine di osservazioni ma di mettere sotto osservazione anche l’atteggiamento dell’osservatore e quanto emotivamente veniva sollevato dentro di lui. La lettura delle osservazioni commentate in un gruppo di lavoro permetteva di cogliere i modelli di comportamento del lattante nei confronti della madre e i modelli di comunicazione tra loro.

Sulla base di tutti questi studi e teorizzazioni si sviluppa anche l’Infant research come area di confine fra la psicologia dello sviluppo e la psicoanalisi.  La teoria dell’attaccamento, successivamente a Bowlby,  suscita un grandissimo interesse e stimola molte ricerche anche in campo non psicoanalitico mettendo in luce come la tendenza innata a ricercare e mantenere relazioni sia ciò che organizza l’esperienza.

Sempre di più si definisce la posizione che “Non esiste un bambino teorico separato dalle relazioni e dal suo contesto” e molti ricercatori Stern, Beebe e Lachmann, Tronick ecc.  trovano che il bambino delineato fino a poco prima come essere indifferenziato, la famosa tabula rasa su cui gli adulti potevano incidere le proprie linee educative diventa invece un “essere attrezzato” dotato di risorse, capacità sufficienti per mettersi in relazione con il suo ambiente (iniziando da quello uterino). Le relazioni tra madre e bambino vengono co-costruite da entrambi attraverso il volto, la voce, l’orientamento spaziale. 

Con l’aiuto di nuovi strumenti che via via sono stati creati, come l’ecografia, la risonanza magnetica, ecc. si fanno anche numerose ricerche sull’ambiente prenatale e sulle reazioni già in utero del piccolo, che, in questo quadro, è difficile chiamare feto.

Ricordo l’articolo di Suzanne Maiello in cui ipotizza come, già nel grembo materno, la voce della madre, che sappiamo da numerosi studi viene percepita e ricordata, possa costituire addirittura l’oggetto di una protorelazione.

Molti dati ottenuti dalle ricerche sperimentali mostrano che il neonato si autoregola continuamente cercando una sintonia di rapporto, perciò reagisce ai fallimenti, entro certi limiti, cercando un contatto, sa rispondere o opporsi anche molto precocemente a situazioni sgradevoli o sgradite, sa quindi cercare e adattarsi ad una relazione. Queste ricerche mostrano l’origine delle capacità relazionali e dei modelli di comunicazione non-verbale che rimangono poi anche nell’adulto e secondo Beebe e Lachmann la regolazione interattiva dei processi diadici riorganizza l’esperienza interna dei soggetti in tutte le interazioni. Questo conferma l’importanza della relazione come situazione in cui “facendo esperienza dell’altro facciamo esperienza di noi stessi”.*

L’organismo è il tramite relazionale tanto delle relazioni primarie quanto di quelle successive…quindi è un ponte che salda corpo-materia funzionalità e corpo-soggetto- emozionale. Insieme diventano corpo vissuto.

Così anche il corpo va incontro a un processo di adattamento. Inibisce alcune sensazioni ed emozioni e ne accentua altre.”

 Anche l’infant research dunque sottolinea soprattutto l’importanza della coppia madre bambino. Parla di una mente che nasce relazionale e la scoperta scientifica verso la fine del secolo scorso, sull’esistenza e la funzione dei neuroni specchio segna il passaggio dall’intrapsichico all’intersoggettivo dando fondamento scientifico a quanto osservato nel rapporto madre/bambino.

 

Il seminario di Giovanna Maria Mazzoncini è riuscito a mostrare, anche attraverso la lettura di alcuni brani di osservazioni di infant e young observation, la complessità della costruzione della relazione genitoriale nella prima infanzia.  Sono state illustrate le funzioni genitoriali secondo il pensiero psicoanalitico e prendendo come riferimento il pensiero di alcuni maestri, da Klein a Winnicott, a Bion e Meltzer; sono stati ripercorsi alcuni punti cruciali della crescita psichica del bambino, risalendo allo sviluppo originario.  

Sono stati poi brevemente ripercorsi vissuti genitoriali, specialmente quelli materni e la funzione dell’ambiente come sostegno alla coppia nei primi tempi dello sviluppo. Sono state illustrate anche le angosce primitive del bambino e della madre e le difese per affrontarle e contenerle.

Per terminare una affermazione di Annie Anzieu :

< L'acqua per l'anatroccolo, non è un oggetto; è qualcosa di reale indispensabile perché sia possibile nuotare>

<Il materno, quello del padre, della madre o dei sognanti “caregivers”, è quell'acqua senza la quale le capacità dei neonati non esistono.>

 

Vi ricordiamo il prossimo appuntamento che conclude questo ciclo per Mercoledì 2 dicembre, con il tema 'Essere genitori di adolescenti...essere genitori adolescenti'.

Le iscrizioni a questo seminario sono aperte fino al 30 novembre contattando fiocchidonat@gmail.com

 

Donatella Fiocchi

Segretario Scientifico AIPPI Milano

 *Citazione della dott.ssa Paola Battocchio, che ringrazio per l'interessante articolo comparso sulla rivista Matrika del 2017

 



Genitori e prima infanzia: una complessa crescita - Seconda serata del Ciclo 'Genitori si nasce o si diventa?'
Dal 19/11/2020 al 26/11/2020
Modulo di iscrizione

19/11/2020

Centro Clinico AIPPI di Milano

Piazza Sant'Agostino 24 20123 Milano

I Centri Clinici AIPPI offrono, a costi contenuti, consultazioni e percorsi psicoterapeutici ad indirizzo psicoanalitico per bambini in età pre-scolare, scolare, adolescenti con lievi o gravi difficoltà nella sfera emotiva e relazionale e per genitori che si trovano ad affrontare problematiche di coppia e/o legate al rapporto con i figli.

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